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14.dicembre.2004
D'accordo: ho scritto e pubblicato un libro
di poesie. Lo ammetto: sono colpevole. E tendo anche a essere recidivo.
D'altra parte, uno non può sempre e solo occuparsi di cose serie,
come i fumetti.
E insomma, un piccolo vizio possiamo pure permettercelo! O no?
10.dicembre.2004
Ricevo Black, il magazine della Coconino Press, con le proposte
e le anticipazioni di quello che poi finirà in volume. Come al
solito, il contenuto è tutto di alta qualità,
e quindi qualsiasi osservazione io faccia va intesa tenendo presente
questo. Tantopiù che il numero inizia con un intervento di Omar
Martini su Edward Gorey, autore affascinantissimo e un po' dimenticato,
che ritrovo con grande piacere.
Leggo anche, però, l'introduzione di Igort, che mi parla, in
toni entusiastici, di Sammy Harkham, di cui pubblica la storia "Poor
sailor" e a cui dedica anche la copertina. Sarà anche per
le parole di elogio di Igort, ho iniziato a leggere la storia di Harkham
aspettandomi un piccolo capolavoro, e ho trovato una storia carina,
con un sacco di invenzioni originali - ma in fondo un po' patetica nel
complesso, con questo irredimibile pessimismo per cui tutto va a finire
nel peggiore dei modi. Probabilmente Igort ha letto, di Harkham, anche
altro; o ha letto questa storia in un contesto differente. Comunque,
il giudizio di Igort è attendibile; e quindi mi aspetto altre
storie di Harkham che mi facciano pensare di essermi sbagliato.
Comunque, tra vecchie glorie e giovani promesse, il numero di Black
è nel complesso molto godibile. Non voglio fare la rassegna di
tutte le storie. Mi limito a segnalare quello che mi ha colpito di più.
Oltre ai deliri della rinata (già da un po') coppia Colucci-Giacon,
sono grato a Igort per il ritorno sulle scene di Elfo, con queste sue
microstorie, come delle liriche a fumetti, centrate ciascuna sulla descrizione
di una persona attraverso una sensazione o un'emozione. Michelangelo
Setola guarda molto Mattotti e promette bene, molto bene, ma dovrebbe
stare attento, qua e là, a evitare certe difficoltà di
comprensione proprio nei momenti cruciali della storia. Tatsumi e David
B. sono Tatsumi e David B., né più né meno, il
che è sempre non poco, e anche l'ironia un po' demente della
mummia di Marzocchi-Zeman è intrigante. Ho elencato quasi tutto,
alla fine. Gli assenti si risentiranno. Faranno male. Nel caso, si rileggano
l'inizio di questa nota.
3.dicembre.2004
Mi accorgo di avere scatenato una piccola polemica con il mio articolo
su Golem a proposito del verso di lettura dei fumetti giapponesi
nelle traduzioni occidentali. Me ne accorgo, già a distanza di
così pochi giorni, dalle email che ricevo e dalle discussioni
nei newsgroup.
Voglio perciò aggiungere alcune considerazioni a sostegno della
mia tesi, che avevo avanzato in prima istanza, ancora in una forma più
debole, proprio in questo Blog, in data 11 ottobre. Sono perfettamente
consapevole che il ribaltamento pone una serie di problemi, alcuni dei
quali possono essere facilmente risolti e altri no, strutturalmente
no. La comparsa di una carta geografica mette chiaramente in luce il
ribaltamento, perché le forme delle aree geografiche che ci sono
così familiari nella versione dritta diventano irriconoscibili
(e false) nella versione ribaltata. In qualche caso potrà forse
essere sufficiente ri-ribaltare specificamente la cartina; in qualche
altro caso risulterà impossibile. Che un personaggio faccia riferimento
verbale alla sua mano sinistra mentre nell'immagine ribaltata esibisce
la destra è pura manchevolezza del traduttore, anzi dell'editor,
che queste cose le dovrebbe controllare: a meno che questo non abbia
conseguenze ulteriori sul senso del testo, è più facile
cambiare le parole delle immagini. Una partita a baseball resta ribaltata
e basta: non riesco a immaginare come si possa rimediare. Chi conosce
il gioco si ritroverà indubbiamente spaesato, ma per chi non
lo conosce non credo che faccia molta differenza.
C'è tutto questo, e indubbiamente molto altro; ma questi problemi
non sono una prerogativa della stampa ribaltata del manga. Ogni traduttore
sa che tradurre è tradire, e che, come nel titolo del libro di
Eco, tradurre è, al massimo, cercare, con la massima onestà
e diligenza, di dire quasi la stessa cosa. Poiché qualcosa
inevitabilmente in una traduzione si perde, il traduttore deve decidere
che cosa perdere e che cosa conservare; deve fare, cioè, una
scelta, la quale, come ogni scelta, inevitabilmente scontenterà
qualcuno.
Io credo che in una storia a fumetti, come in qualsiasi tipo di storia,
l'efficacia e la fluidità della lettura siano il primo valore
da preservare. Se sacrifico quelli, in nome della filologia e del rispetto
della lettera dell'originale, avrò in realtà tradito l'originale
assai di più che accettando alcuni cambiamenti. La prima finalità
di un racconto, a fumetti come di ogni altro tipo, è quella di
interessare, appassionare, il suo fruitore. Se un racconto non riesce
a fare questo, il lettore presto o tardi abbandonerà la lettura,
o la proseguirà controvoglia, e di tutti gli altri aspetti significativi
in fin dei conti gli arriverà poco o nulla. Ovviamente, non bisogna
prendere questa priorità in termini tassativi: essere l'aspetto
più importante non significa essere il solo aspetto importante.
Di conseguenza le decisioni in materia di traduzione sono sempre difficili
e locali: ma se si sacrifica l'efficacia comunicativa si sacrifica tutto,
perché il resto rischia fortemente di non arrivare nemmeno al
lettore.
Prendiamo dunque la vignetta di Lone Wolf and Cub che mostro nel mio
articolo. Pregherei il lettore di aprire
la pagina di Golem e di tenere sotto l'occhio le due versioni che
vi vengono mostrate. Vi si mostra un combattimento tra il vecchio Yagyu
Retsudo e Ogami Itto (per la cronaca si tratta di un flashback che racconta
un episodio che risale addirittura alla nomina di Itto come giustiziere
imperiale, e quindi all'origine della rivalità tra i i due).
Retsudo combatte con il bastone, e Itto con la spada.
Nella versione ribaltata, quella che condivide il senso di lettura a
cui siamo abituati, riconosciamo con facilità la dinamica degli
eventi, il gesto di alzare rapidamente la spada compiuto da Itto mentre
si sposta verso sinistra per evitare il movimento circolare del bastone
di Retsudo, un movimento che chi ha fatto un po' di Aikido è
in grado di riconoscere. Inoltre, l'inquadratura è presa dalle
spalle di Itto, è cioè una semi-soggettiva, in cui oltre
a vedere Itto stesso, vediamo quello che lui vede. Ma, trovandosi Itto
a sinistra di Retsudo, il senso della sua visione va anche nel senso
della nostra lettura istintiva, che va da sinistra a destra: dunque,
nel procedere da sinistra verso destra noi procediamo anche verso l'interno
della scena, cioè verso Retsudo - il quale, però, in questo
momento sta attaccando, cioè venendo verso di noi, che ci stiamo
identificando con Itto. Si crea cioè un movimento di andata dello
sguardo e di ritorno dell'azione, che ci costringe a spostare la nostra
attenzione alternativamente sui due combattenti, ed è di per
sé fortemente evocativo di una situazione di combattimento.
Questo è quello che percepirebbe pure un lettore giapponese guardando
l'immagine originale, visto che il suo istinto di lettura (ovvero l'abitudine
interiorizzata in anni di pratica individuale, basati su secoli di pratica
collettiva, che fanno sì che la direzione privilegiata destra-sinistra
non appartenga più solo alla scrittura - come accade pure in
occidente per il suo opposto) lo porta a leggere le immagini nel senso
corretto per l'immagine originale.
Ma cosa succede quando siamo noi a leggere l'immagine originale? Si
vede un Retsudo formidabile che attacca un Itto che può solo
difendersi. Il movimento di andata dello sguardo e di ritorno dell'attacco
viene del tutto inibito. Itto non è protagonista dello sguardo,
come nella versione ribaltata, e siccome il movimento sinistra-destra
è per noi quello naturale, ci appare da un lato magnificato l'attacco
di Retsudo, e dall'altro ci appare pure inequivocabile la ritirata di
Itto. Cambiando la direzione dell'immagine, il medesimo gesto si trasforma
in una ritirata, da una semplice schivata che era.
E anche il movimento della spada di Itto non è più chiaro:
sembra ferma, là in alto, e Itto sul punto di cadere, e quindi
di essere sconfitto, spazzato via anche da quel circolo di linee di
movimento che, mentre nella versione ribaltata conferiscono un dinamismo
generico, maggiormente destinato a rappresentare il movimento di Retsudo,
qui, prendendo la direzione di minore resistenza da sinistra a destra,
paiono travolgere Itto.
Insomma, il semplice rovesciamento dell'immagine ci trasforma un confronto
tra pari in una vittoria dell'uno sull'altro. E' o non è questo
un tradimento delle intenzioni dell'autore!? E' davvero la stessa storia,
quella che leggiamo così, filologicamente non ribaltata, rispetto
a quella di Koike e Kojima?
30.novembre.2004
Il problema specifico dello scrivere su un libro uscito da poco (ovvero,
più banalmente, dello scrivere una recensione) è che bisogna
parlarne senza dirne troppo. Da un lato bisogna parlarne, è giusto
parlarne, e si ha voglia di parlarne. Dall'altro, presumibilmente una
buona parte dei miei lettori non l'ha ancora letto, e quindi non è
giusto nei loro confronti rivelare aspetti del libro la cui scoperta
diretta fa parte dell'emozione del leggerlo. Senza arrivare al rivelare
che l'assassino è il maggiordomo - come facevamo da ragazzi parlando
ad alta voce fintamente tra noi mentre uscivamo dal cinema e passavamo
di fianco a quelli che entravano - anche solo descrivere il modo in
cui vengono introdotti nuovi temi, o come cambia il disegno di una storia
a fumetti andando avanti, può essere fonte di sorprese mancate
da parte del lettore del testo.
Ma, d'altra parte, come faccio a parlare di un libro senza fare riferimento
a quello che contiene? Per questo fare recensioni è un'arte difficile,
e necessariamente limitata; che non dovrebbe essere confusa con la critica
in senso pieno, in cui il critico può fare a meno di porsi questo
problema, e anzi la presupposizione che i suoi lettori conoscano il
testo di cui sta parlando è utile, perché lo scopo della
critica è quello di invitare a rileggere, e a trovare in un testo
quello che non eravamo riusciti a trovare alla prima lettura. Poiché
i buoni testi sono sempre più ricchi di quello che sembrano,
la critica fa un lavoro di proposte di scavo; propone delle nuove modalità
di lettura, che poi ciascun lettore, facendole proprie o contrapponendovisi,
userà come spunto per le sue specifiche e nuove modalità
di lettura.
Qualcosa, comunque, di questi Appunti per una storia di guerra
di Gipi, mi scappa di dire - e spero di avere modo di tornarci sopra
l'anno prossimo, quando potrò evitare di pormi il problema di
non rivelare troppo. Non che ci sia un maggiordomo assassino da scoprire,
nella storia di Gipi, però le sorprese, procedendo nella lettura,
non mancano affatto. Dopo le liriche visive di Esterno notte,
questa è decisamente una storia in prosa, un vero racconto, narrativamente
complesso, intricato - anche se la storia ci può apparire lineare,
facile. E' che c'è un gioco raffinato di cambi di prospettiva,
di punti di vista, in cui racconto e immagine giocano di squadra, ma
non all'unisono.
Il passaggio a una dimensione di prosa, di romanzo, da quella poetica
del volume precedente, si vede anche dal disegno, che si è fatto
un poco più semplice e dinamico. Ma Gipi ha, e si vede, non soltanto
un talento grafico non da poco, ma anche e soprattutto un talento narrativo.
Lo si vede da come caratterizza i personaggi, e da come racconta l'ascesa
sociale del Killerino, ma anche da come sa preparare le sorprese, i
punti di volta della storia.
Lo si vede, infine - ma qui comincio a correre il rischio di dire troppo
- da come viene descritta questa guerra che non si vede (quasi) mai,
perché tutto succede ai suoi bordi; ma è una guerra nostra,
che accade qui e ora, proprio dove non ce lo aspettiamo, come non se
lo aspettava forse la gente dei Balcani dieci anni fa. E questo suo
confrontarsi con le nostre passioni e abitudini di oggi, della nostra
vita quotidiana, la rende ancora più cruda e feroce - persino
nel suo non mostrarsi, o mostrarsi appena, nelle pagine di Gipi.
Qui mi fermo. Spero di aver detto abbastanza, ma non troppo. L'alternativa
sarebbe stata quella di dire: "A me è piaciuto". Un
po' troppo poco, no?
21.novembre.2004
Sfogliando il supplemento culturale della domenica del Sole 24 ore,
arrivo a una pagina pubblicitaria del teatro San Carlo di Napoli, dove
si annuncia un'edizione di Tristan und Isolde di Richard Wagner.
La pagina è dominata da un'illustrazione di Milo Manara, che
ne occupa circa la metà.
Dovrei dunque essere contento, visto che viene chiamato un fumettista
a illustrare l'annuncio di un'opera così tradizionale e importante?
Il fumetto è diventato finalmente abbastanza maturo da essere
chiamato a rappresentare il melodramma wagneriano?
Le cose non stanno esattamente così. Intanto qui non è
in gioco il fumetto, ma semplicemente un autore di fumetti. E tuttavia,
io sono ben contento quando vedo illustrazioni di Mattotti o della Ghermandi
con funzioni di questo genere.
Qui, invece, provo solo una grande tristezza, e l'impressione di trovarmi
di fronte a un'operazione commerciale non particolarmente astuta.
Nell'illustrazione di Manara un Tristano ferito e morente, appoggiato
all'albero della nave, viene approcciato da un'Isotta addolorata; per
terra l'ampolla rovesciata con il filtro d'amore; sullo sfondo un mare
agitato e la luna che sorge. La cosa che si nota di più, in tutto
questo, è la lunga coscia scoperta di Isotta, che, più
che moribonda, sembra agghindata per la danza dei sette veli.
Non capisco bene quale momento dell'opera si voglia rappresentare, perché
questi elementi (Tristano ferito, l'ampolla rovesciata, Isotta addolorata,
il mare agitato) sono tutti presenti nell'opera di Wagner, ma mai tutti
assieme, allo stesso tempo. Tuttavia, un'illustrazione di questo genere
non è tenuta a rispettare il dettaglio narrativo. Quello che
conta è che trasmetta l'emozione complessiva, il mood,
il senso delle passioni che sono in gioco nell'opera che viene presentata.
E' proprio da questo punto di vista però, che questa immagine
è un vero fallimento. Intanto, lo stile di Manara richiama troppo
le storie leggere ed erotiche, piene di ragazzine discinte, che lo hanno
reso famoso - e qui non viene fatto nulla per alleggerire questo richiamo.
Insomma, prima di essere un'illustrazione di Tristan und Isolde,
questa si presenta come un'illustrazione di Manara. E così, l'erotismo
intensissimo ma cupo e disperato dell'opera di Wagner si trasforma in
un'erotismo da strizzata d'occhio complice, di cui la lunga coscia ostentata
di Isotta diventa il testimone.
Meglio sarebbe stato, forse, essere più sessualmente espliciti,
e mettere in scena l'amplesso attorno a cui tutta l'opera gira - però
con tutta la sua disperata impossibilità, e non con questa scenografia
hollywoodiana, in cui Tristano sembra uscito dal set di Troy,
e Isotta non è malata e languente come alla fine del dramma wagneriano,
bensì una sanona bene in carne, che sta astutamente utilizzando
le proprie arti seduttive.
Forse il Teatro San Carlo spera di attirare un pubblico giovanile, rivestendo
l'opera wagneriana con queste vesti così glamour. Ma qualunque
nuovo pubblico che andasse a vedere il Tristano perché
attirato dall'immagine di Manara rimarrebbe assai deluso dal non trovarvi
né glamour né hollywood né strizzate d'occhio da
Striscia la notizia. A dispetto delle lusinghe di Manara, Isotta
non è una velina, Tristano non è Brad Pitt (con tutto
il rispetto per Brad Pitt), e il melodramma wagneriano non è
un fumetto.
E mi dispiace davvero che venga data occasione di ricordare che la parola
"fumetto" può essere usata, e viene di fatto usata,
anche in termini dispregiativi. Cari signori del San Carlo, la prossima
volta che volete illustrare un'opera che mi sia altrettanto cara, chiamate,
per favore, un fumettista vero!
17.novembre.2004
D'accordo: non è appena uscito. Ma siccome è un libro
sottile è rimasto sepolto per mesi nella pila dei libri da leggere
del mio comodino. Era finito chissà come troppo in fondo, e lì
è rimasto troppo a lungo. Così però è stata
poi una felicissima scoperta, trovarlo e leggerlo. E' Il piccolo
mondo del Golem, di Joann Sfar (Kappa Edizioni, gennaio 2004).
Sfar condivide con il suo più noto collega della Association,
David B., il gusto per il fantastico e il gusto per il quotidiano. Ma
se David B. ama raccontarci un quotidiano pieno di fantastico, la passione
di Sfar sembra invertire i poli, ed è il fantastico a riempirsi
di quotidiano. Così, in questo piccolo mondo del Golem, popolato
di vampiri e streghe, uomini albero e mandragole, capita che gli uomini
albero, dall'aspetto terribile, rimangano fermi per giorni interi perché
non sanno decidersi su che strada prendere, a un trivio; e quando finalmente
lo fanno, è per passione della fidanzata del vampiro, che viene
colta a sua volta dalla passione per loro. E il povero vampiro è
troppo timido e introverso per contrattaccare nei confronti dell'esuberante
uomo albero. Devono essere i suoi amici umani a studiare il piano di
riscossa, e trovare una mandragola di cui far innamorare l'uomo albero,
in modo che lasci libera la fidanzata del vampiro. Mentre invece è
quest'ultimo a innamorarsi della mandragola, e il suo amore sarebbe
anche ricambiato se la mandragola non venisse rapita, e non finisse
per essere venduta come modella, a Vilnius, al pittore Soutine... Un
piccolo mondo di adorabile, sottile e malinconica ironia, dove i mostri
(che in fin dei conti siamo pur sempre noi) mostrano solo le loro umane
romantiche debolezze.
3.novembre.2004
E' un giorno infausto, questo, che sembra vedere riconfermato al potere
il presidente più idiota della storia degli Stati Uniti d'America,
con le sue promesse di guerre, di miseria economica e culturale, con
l'inevitabile aumento del distacco tra America e Europa (fatta eccezione
per la nostra locale idiozia, che con queste condizioni ha qualche probabilità
in più di durare altri cinque anni - ma faremo il possibile per
evitarlo!). Un giorno infausto che vede la patria della libertà
e dei diritti umani confermare al potere un uomo che ha causato più
morti inutili del criminale saudita suo amico e già socio di
affari. E scusate lo sfogo!
Per fortuna non lo sapevo ancora ieri pomeriggio, quando mi è
capitato di presentare presso la libreria Feltrinelli International
di Bologna Craig Thompson, e i suoi due libri appena pubblicati in Italia
da Coconino e Black Velvet. Se l'avessimo saputo avremmo finito per
parlare di questo, e sarebbe stato un peccato. Ma cosa c'entrano le
elezioni americane con Blankets e con Addio Chunky Rice?
Be', con Chunky Rice, niente; ma con Blankets c'entrano
eccome. Blankets è la storia di un primo amore adolescenziale.
Una storia autobiografica dove il protagonista (lo stesso Thompson)
vive esattamente in quell'america di provincia, forsennatamente e integralisticamente
religiosa che considera l'attuale presidente come il migliore della
storia americana. Questo nel libro non c'è, ma Thompson ci ha
detto che i suoi genitori e tutto il loro ambiente la pensano esattamente
così. Oltre a essere la storia di un primo amore, Blankets
è così la storia di un congedo dai genitori e di una presa
di consapevolezza con il passaggio dall'adolescenza alla maturità
- una presa di consapevolezza che è, inevitabilmente, anche ideologica
e politica.
Ma questo, nel lungo romanzo a fumetti di Thompson è appena accennato,
a tratti, qua e là, con la medesima delicatezza che caratterizza
tutto il suo modo di raccontare, dove le cose che contano vengono sempre
dette, ma con un riserbo quasi sacrale.
Nel complesso, insomma, Blankets è evidentemente un
romanzo di formazione, opera di un autore giovane ma già padrone
di una capacità narrativa affascinante (e la differenza con il
precedente Chunky Rice si vede, nonostante pure l'opera prima
si distingua per originalità). Pare che in America e in Francia
abbia venduto un sacco di copie. Direi che ha le carte in regola per
fare lo stesso anche da noi.
20.ottobre.2004
Leggo Vite comuni, di Mabel Morri, pubblicato da Schizzo, le
edizioni del Centro del Fumetto "Andrea Pazienza" di Cremona.
Mi colpiscono due cose. In primo luogo che le brevi storie contenute
nel volume sono tutte storie d'amore positive, quale più quale
meno. Sono storie senza conflitto, in cui il sentimento è una
cosa che c'è e si manifesta - e basta. E' bello che ci sia qualcuno
che abbia voglia di raccontare quello che normalmente troviamo banale
- non perché l'amore sia banale, ma perché normalmente
troviamo banali le storie senza un qualche conflitto.
In realtà, a ben guardare, i conflitti in queste brevi storie
di amore di Mabel Morri ci sono, ma sono così sottili e così
interiori e così risolti nella positività complessiva
di quello che viene raccontato, da apparire come la cosa meno importante.
La seconda cosa che mi colpisce è che queste brevi storie sono
quasi senza dialoghi, con un monologo interiore che accompagna la scansione
delle immagini. Eppure sono davvero storie a fumetti. O sono forse brevi
prose poetiche a fumetti sul tema dell'amore: forse è questo
che sono davvero, il che spiega come possano funzionare così
bene con così pochi contrasti narrativi.
Un bell'esperimento comunque, che si legge con piacere - e con il piacere
ulteriore del critico, che scopre una piccola significativa novità
in questo modo molto personale di fare fumetti.
11.ottobre.2004
Mi capita sotto gli occhi l'edizione Panini-Planet Manga di "Lone
Wolf and Cub", ovvero uno dei più bei fumetti del mondo.
Grazie quindi alla Panini per aver permesso anche ai lettori italiani
di goderne.
Ma colgo pretestuosamente l'occasione per inserire tra queste lodi una
piccola vena di polemica. Tra l'edizione americana Dark Horse, che è
quella che avevo letto io, e l'edizione Panini, c'è una sostanziale
differenza, che è il senso di lettura. La Dark Horse ha scelto
il senso di lettura occidentale, la Panini, più filologicamente,
il senso di lettura giapponese, da destra verso sinistra.
Fino a qualche mese fa non avrei avuto problemi a lodare anche il senso
filologico dei curatori italiani, che ci restituiscono le immagini originali.
Poi, però, mi è venuto un dubbio; un dubbio che non riguarda
solamente "Lone Wolf", ma tutti i fumetti giapponesi publicati
secondo filologia.
Il dubbio è questo. La lettura da sinistra a destra (o, per i
giapponesi, da destra a sinistra) non è una semplice convenzione
che si può cambiare per decisione volontaria. Anche se si basa
su una convenzione, per noi occidentali il verso sinistra-destra è
appreso dalla più tenera infanzia (ben prima della scrittura)
come il verso dell'"andare avanti", e viceversa per il destra-sinistra.
Per questo, nel fumetto, non solo le vignette vanno da sinistra a destra,
ma anche ciò che ci sta dentro, quando si vuole dare l'impressione
di un'azione fluida.
Insomma, molto più a monte della lettura vera e propria, il verso
sinistra-destra è per noi il verso dell'"avanti", e
il destra-sinistra quello dell'"indietro". Si tratta di abitudini
talmente radicate in noi, e così continuamente confermate dalla
comunicazione, che per ribaltarle abbiamo bisogno di uno sforzo consapevole
e determinato, e di un'attenzione molto maggiore.
Questo è ciò che le edizioni filologiche di fumetti giapponesi
ci richiedono. In altre parole, esse hanno l'apparenza di essere come
l'originale, ma in realtà, rispetto alle consuetudini di lettura
dei loro lettori (cioè noi), sono di fatto ribaltate. Ed è
abbastanza ingenuo pensare che il lettore possa ribaltare tutti i propri
automatismi percettivi così come ribalta faticosamente il senso
complessivo di lettura delle vignette.
Personalmente, trovo che la fatica e le frequenti confusioni che il
ribaltamento della lettura comporta mi disturbino al punto da farmi
perdere, talvolta, il ritmo della lettura e dell'azione raccontata.
E anche se sono diventato bravo a orientarmi con il senso di lettura
invertito, continuo a domandarmi perché, visto che le parole
del giapponese me le traducono, non mi debbano tradurre anche il senso
di lettura.
D'accordo, Ogami Itto apparirà mancino. Ma confesso di non essermene
mai accorto; mentre mi accorgo continuamente degli errori che faccio
leggendo i manga nella direzione originale.
Tanto più che le parole della traduzione italiana continuano
ad andare nel loro verso, da sinistra verso destra, e a ricordarci in
che direzione si va avanti, in Occidente.
10.ottobre.2004
Non sono a Romics, dove avrei voluto essere per partecipare alla premiazione
di alcune opere, per via di un impegno familiare di quelli irrinunciabili.
Avendo fatto parte della giuria che ha deciso i premi, mi sento coinvolto
in prima persona in questa premiazione - anche perché le opinioni
degli altri componenti (Alberto Abruzzese e Orio Caldiron) erano talmente
in sintonia con le mie che le decisioni sono state prese tutte quasi
senza discussione; giusto quel tanto che serve per capire che eravamo
d'accordo.
Inizio questo BLOG così, sperando di avere la costanza per continuarlo,
perché vorrei fornire le mie personali motivazioni per le scelte
che ho fatto, e per le passioni che mi hanno spinto a farle.
Iniziamo da lontano, e cioè dal premio per la migliore opera
di scuola nipponica. Qui le opere in concorso erano poche, e il Gourmet
di Taniguchi ha vinto facilmente, anche se di Taniguchi avrei preferito
premiare altro. Il problema di Gourmet è che probabilmente
andrebbe letto secondo la scansione della sua pubblicazione originale,
ovvero ogni qualche giorno quelle poche pagine di ogni specifica storiella.
Leggere tutte di seguito le gustose meditazioni di un raffinato ghiottone
porta allo stesso tipo di esaurimento che si prova verso la venticinquesima
portata di una cena dove tutto è squisito: è fisicamente
impossibile reggere e gustare tutto. Se potessimo diluire la cena in
dodici cene di due portate ciascuna, probabilmente le gusteremmo molto
di più.
Per la migliore opera di scuola angloamericana, il premio è andato
a Black Hole di Charles Burns. Da quando, negli anni Ottanta,
Burns stava in Italia, e faceva parte del gruppo Valvoline, la sua capacità
di far scorrere dei brividi lungo la schiena si è fatta ancora
più raffinata - e adesso non ha nemmeno più bisogno di
mostrarci l'orrore per farcelo intravedere a ogni vignetta. Conturbante
credo che sia la parola giusta per definire quello che fa.
Poiché non erano presenti al concorso opere di scuola latino-americana,
si è deciso di riciclare il premio, e di premiare anche la migliore
opera di scuola specificamente italiana. Barokko di Paolo Bacilieri
è stata la scelta. Personalmente, io continuo a trovare Barokko
la cosa migliore fatta da Bacilieri, che quando fa le cose un po' più
"da autore" finisce per lasciarsi prendere la mano dalla sua
verve un po' provocatoria. Non che ci sia nulla di male ad essere provocatori;
è che nel caso specifico di Bacilieri questo finisce spesso per
banalizzare tante altre belle idee, e per togliere unità e ritmo
al tutto. In Barokko invece (come anche, bisogna proprio dirlo,
quando disegna Napoleone) l'equilibrio tra la capacità
narrativa e grafica e lo spirito provocatorio funziona davvero bene
- e Bacilieri sa essere bravissimo.
Per Pillole Blu di Frederik Peeters, premiato come migliore
opera di scuola europea (italiani a parte, dunque), avevo sviluppato
una piccola passione già prima di ritrovarmelo davanti come membro
della giuria. Qui non dico niente, perché spiego tutto in un
articolo su Golem
di ottobre.
Il Premio Speciale della giuria l'abbiamo dato a David B., Il grande
male. Non so se sia il caso di elogiare ulteriormente anche qui
quest'opera che ha segnato una pagina della storia del fumetto. Chi
ama i fumetti, semplicemente, non può non averlo letto. Per me,
è stata una vera esperienza di vita.
Infine, il Gran Premio, a Gipi, Effetto notte. Personalmente,
si tratta dell'opera (e non semplicemente dell'opera a fumetti) che
mi ha dato le emozioni più forti da diversi anni a questa parte.
Ne ho scritto su Golem
qualche mese fa, e quindi rimando a quello che potete leggere lì.
In effetti, su a chi dare il Gran Premio e a chi il Premio Speciale,
la giuria qualche perplessità l'aveva, e io pure. Lotta tra giganti,
comunque. Nell'incertezza ha prevalso la considerazione che altri riconoscimenti
importanti David B. li ha già avuti, mentre Gipi ne ha più
bisogno. Se avessimo dovuto premiare l'impegno complessivo dell'autore
per la diffusione del fumetto di qualità, David B. sarebbe stato
indubbiamente favorito; ma dovevamo premiare il libro, e, in questo,
Effetto notte non è davvero inferiore al Grande
Male. Forse è quasi meglio. Vogliamo discuterne?
Se
qualcosa non va tecnicamente, segnalatelo a . |